venerdì, Novembre 22, 2024
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Madonna della Consolazione

by Mario Vicino
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Sec. XVI – prima metà. Tecnica mista su tavola 32 x 26,5 x 0,5. Aieta (CS), Chiesa di Santa Maria della Visitazione

La Madonna è rappresentata a mezzo busto, conforme pertanto al modello della “Madre di Consolazione”; in questo caso però il Bambino – al posto del rotolo – sostiene un globo. Egli indossa vesti arricchite da solchi dorati – e la sua tunica di colore verde appare come una corazza lavorata a traforo –, che perciò risultano discordanti con quelle della Madre, sulle quali i tracciati miniati in oro si limitano all’ornamento degli orli, al fermaglio che fissa al petto tanto il velo quanto il manto rosso cupo, nonché alle emblematiche “stelle-croci” che decorano quest’ultimo indumento.

Fino a un tempo non lontano, le icone bizantine calabresi erano considerate opere attinenti al Medioevo, come per l’appunto anche quella di cui si discute. La prima a individuare un considerevole indirizzo neo-bizantino sviluppatosi nella nostra regione – in anticipo sugli abituali svolgimenti –, fu M. P. Di Dario Guida, seguita da altri, tra cui anche chi scrive.

Tranne la sua provenienza dalla distrutta chiesetta di San Nicola, di questa tavola non si hanno informazioni né di aspetto storico, né di riferimento al culto. Biagio Cappelli – pubblicandola nel 1932 –, sostenne un’attinenza con bottega napoletana radicata in un solco senese, attiva nel XIV secolo, e ipotizzò come mezzo di provenienza ad Aieta, la famiglia Lauria dell’Ammiraglio Ruggero. Tale formulazione – riferita pure nel 1933 dal Frangipane nel suo “Inventario” –, fu riproposta in tutti gli studi successivi, fino a quando la Di Dario, esaminando l’esistenza nella nostra terra delle “icone bizantineggianti” attribuirà l’opera unitamente a quella di Belcastro e di Reggio Calabria – oggi non più reperibili –, “a madonneri probabilmente italo-cretesi, rientranti nella medesima estrazione culturale che ha prodotto le Madonne pugliesi del Seminario di Bisceglie, del Seminario Regionale di Molfetta, della Chiesa dello Spirito Santo a Giovinazzo”.

Il restauro consente di stimare la tavola come manufatto di un pittore cretese attivo facilmente, nella prima metà del XVI secolo. Essa, che è caratterizzata da una notevolissima impronta tardo gotica – la stessa che indusse il Cappelli a considerarla di scuola senese trecentesca – è relativa, tuttavia, a un ragguardevole novero di affini icone di “Madre della Consolazione”, esattamente nella modificazione della sfera in luogo del rotolo tenuto dal Divino Fanciullo, attestata abbondantemente in Italia, in Grecia e nelle altre zone coinvolte dai tempi remoti alla divulgazione della pittura cretese. Tale gruppo è stato messo in rapporto di dipendenza con una raffigurazione eseguita nel 1500 da Nicolas Tzafuoris – di cui si conoscono notizie risalenti alla fine del secolo XV, con morte avvenuta nel 1501 –, anche se la discendenza, determinata probabilmente nello slancio del ritrovamento di un’icona firmata, dovrebbe prendere in considerazione che la separazione tra l’eventuale “modello” e l’attinente “creazione in serie”, nell’ambito della pittura bizantina riferita alla produzione moderna, è debole, talvolta impedita per l’appunto dalla vasta propagazione che ebbe la medesima immagine. In effetti la raffigurazione di cui si discute è distante dal novero appena citato per l’equilibrio compositivo che esprimere, unitamente a un suo specifico aspetto riconducibile alle miniature, che se non è possibile assegnarla apertamente al Tzafouris – come è stato proposto da Giorgio Leone –, neppure la discosta di molto dalla sua orbita.

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