Ma che c’entra il violino con il tango? Se vi siete posti questo problema vedendo una locandina come quella del concerto di ieri al parco della lavanda, sappiate che Beatrice Limonti e Camillo Maffia hanno una risposta assai convincente a questa domanda.
Sarà la versatilità della violinista, il senso del ritmo che ritrova in una terra in cui ha profonde radici e dove spesso ritorna da Londra per ascoltarne il richiamo delle origini, e (viene il dubbio) per risciacquare i timbri precisi della sua musicalità – che è sempre passione e mai sterile virtuosismo – nelle acque del Coscile. Ma sarà pure la capacità di Camillo, che percorre veloce la tastiera di uno strumento che lascia meno gioco nei toni rispetto al vìolino, e ha timbri più complessi ma più decisi, capacità dicevo di entrare in sintonia con uno strumento tanto diverso dal suo che evoca atmosfere e sensazioni di tutt’altro genere.
Eppure è proprio la tensione tra queste diversità a creare qualcosa di inatteso e di totalmente nuovo che rompendo tutti gli schemi ti travolge e ti fa capire che nella musica non è mai detto tutto e che ogni formula nuova può sorprendere.
In effetti, il carattere innovativo nel concerto di ieri lo trovi in ogni dettaglio: Nella scelta del contesto (il parco della lavanda),dove chi ha partecipato ha avuto la sensazione che non solo i suoni fossero in armonia tra loro, ma perfino i colori, gli odori e il volo delle api che sciamavano dalle arnie vicine. Ma questo è il potere segreto della musica che resta un principio ordinatore del mondo senza il quale non esisterebbe l’arte e nemmeno la civiltà.
Ma lo ritrovi anche nella volontà di miscelare tre arti diverse. La lettura delle poesie di Enzo Oranges e di Rosanna D’Agostino (da parte di Vittorio Pio D’Agostino) che probabilmente non si aspettavano questo contesto per la fruizione dei loro versi, e nei colori sulla tela del pittore acrese Mimmo Intrieri, che abbozzava paesaggi montani durante la performance, positivamente condizionato dal contesto e dai colori lussureggianti della natura. “Fioritura delle arti” ha voluto intitolare la protagonista di questa manifestazione, il Mº Limonti, come a sottolineare che l’arte origina come moto spontaneo nelle latitudini più profonde dell’essere umano e assume un genere e una forma solo venendo in superficie, per trascinare colui che ne coglie il messaggio a fare il percorso inverso, in un solo attimo e senza l’intermediazione della coscienza, a cui ruba la capacità di interferire. Per questo siamo soliti dire che l’opera artistica produce un “rapimento” nello spettatore.
I musicisti sembravano più che aver scelto dei brani, non essersi dati limiti. Siamo volati da Piazzolla a Liszt passando per Morricone ascoltando brani famosi e meno noti, perfino composizioni dello stesso Maffia. E gli spettatori ne sono usciti non paghi (come hanno fatto capire la richiesta di ulteriori brani), ma con la voglia di ascoltarne ancora di più. Poi il freddo e la notte hanno decretato la fine di quella inedita suite che speriamo continueranno a proporre anche in altri contesti.
Recensione di Raffaele Cirone