Attestato per la prima volta soltanto nel 1923 e assegnato a Bartolomeo Vivarini dal Frangipane nel 1927, nel tempo presente non ci sono prove documentarie atte a dimostrare l’arrivo del trittico nella Chiesa di San Giorgio a Zumpano. In riferimento alla disamina svolta nel caso del polittico di Morano Calabro, firmato nel 1477 dal medesimo Vivarini – e tenendo presente la disposizione territoriale in area cosentina – si può pensare a un’eventuale coesione con i Sanseverino e pure con il vescovo di San Marco Argentano – educatore di Francesco d’Aragona e dei Principi Sanseverino –, Rutilio Zeno. Nel merito del trittico del quale si discute tali eventualità, raccordate tanto allo specifico momento storico dell’ambiente calabrese fra influenti famiglie, quali erano i Sanseverino, quanto a saggi membri della Chiesa – e tale fu Zeno -, incitano a non scartare perfino una supposizione connessa all’appassionato programma di divulgazione e crescita dell’ordine monastico fondato sui precetti dati da Sant’Agostino in forma non sistematica, alle prime comunità cristiane in Calabria e nella circoscrizione territoriale cosentina soprattutto.
Francesco Marino di Zumpano (1455-1519), iniziatore degli Agostiniani Riformati, fra i molti promotori fu il più entusiasta. Su questi presupposti prenderebbe corpo l’eventualità ammissibile di cooperazione fra Zeno e il giovane frate, causata per di più da un’attenta ponderazione diplomatica del vescovo, atta a fornire vie di diffusione efficaci verso un insieme sociale dubbioso nei riguardi dell’autorità laica e religiosa. Questo potrebbe chiarire le motivazione che hanno determinato la segnalazione fornita dallo Zeno – nel periodo di commissione dell’opera a Bartolomeo Vivarini –, a proposito delle immagini di San Giorgio e di Sant’Agostino poste accanto alla Vergine. Nel merito un’ipotesi potrebbe giungere dal breve trattato De beneficentia riferita ai Libri delle virtù sociali dell’umanista, poeta e uomo politico Giovanni Pontano in rapporto a un personaggio altamente rappresentativo della beneficenza quale fu lo stesso Zeno.
Nelle principali opere del pittore in oggetto si definiscono i caratteri del suo originale linguaggio: figure di impianto scultoreo, di un risentito plasticismo e dai contorni vigorosamente incisi, un colore luminoso e squillante e un’impaginatura tendente a rompere lo schema del polittico gotico veneziano. I dipinti della maturità – e fra questi la realizzazione di cui si discute – rivelano un inasprimento formale e una tensione drammatica in rapporto con lo squarcionismo del giovane Carlo Crivelli: si tratta di una sorta di reazione davanti al nuovo corso che la pittura veneziana andava prendendo con l’arte di Giovanni Bellini, che del resto Bartolomeo non ignorava e l’addolcimento volumetrico delle figure, memore anche di Antonello da Messina. Eseguito a tempera su tavola e con fondo dorato, il trittico è costituito da tre singoli riquadri compresi in una contemporanea cornice lavorata a intaglio e dorata, sagomata a cuspidi, con forme di ogive attinenti a eleganza e composizione propriamente venete. La Madonna, sul cui grembo si adagia il Bambino, ha il volto tenero di una madre divina seppur nella quotidiana espressione. Ella trattiene il frutto del suo grembo, quasi a volerlo proteggere dal suo terribile destino di Passione, che attuerà la comunione dei fedeli con il suo corpo. Sulla sinistra campeggia il San Giorgio – con la luminescente veste corta e la corazza – sul drago agonizzante sconfitto, per l’appunto, dall’energico titolare della Chiesa. La tavola di destra mostra un Santo accigliato che il Frangipane nel suo Inventario identifica con S. Benedetto: potrebbe trattarsi anche di un S. Nicola, nel caso che se ne studi la relazione iconografica con la tavola di S. Marco Argentano o in riferimento alle analisi del Berenson. Diversamente propendono il Galli e il Van Marle che lo determinano nella figura di Sant’Agostino , dal volto che ispira una profonda sensazione di auctoritas. È barbuto, rivestito con gli attributi di abate o di vescovo, senza la mitria però ed è rappresentato con un libro in mano. La tradizione locale e le ipotesi di identificazione ricevono una conferma indiretta nel ritrovamento della sentenza agostiniana – Mors mea vnde vivi edvntI.5.. – incisa sulla trave che sorreggeva il Crocifisso posto sopra l’altare sul quale si innalzava il Trittico, durante i lavori di restauro effettuati nella prima metà del secolo scorso.